Ho 65 anni e da quattro sono volontario per Anapaca. La mia idea di volontario nasce molti anni fa quando mia mamma si è ammalata di un brutto tumore: fin da subito mi sono impegnato ad accompagnarla alle varie visite ed esami, prima per scoprire il male e poi per combatterlo. Tra alti e bassi il periodo di malattia è durato dieci anni. Dopo l’operazione il male ci ha dato tregua per cinque anni, poi la recidiva e via di nuovo con Tac, Pet e chemio. Le sono stato accanto sempre organizzando gli appuntamenti, il dosaggio delle medicine e le varie assistenze di cui necessitava. In quel periodo ho apprezzato il lavoro dei volontari che operavano nel reparto oncologico dell’ospedale.
Il volontario presenziava nel corridoio, seduto a un tavolino consegnava le cartelle cliniche aggiornate per poter fare le visite o la chemioterapia.
Mi è subito piaciuta questa figura discreta perché trasmetteva calma e tranquillità a persone che in quel momento erano in stato d’ansia: in tali situazioni poche parole o un semplice sorriso facevano la differenza.
Una volta pensionato, nel mese di gennaio 2018, vedo per caso una locandina Anapaca dal barbiere che annunciava l’inizio di un nuovo corso volontari, così a marzo mi sono subito iscritto.
Ho frequentato il corso che mi ha fornito le conoscenze generali sulle malattie oncologiche e croniche, ho avuto una panoramica sulla rete dei servizi a sostegno del malato che mi ha permesso di conferire un significato all’esperienza vissuta con mia madre, fin da subito mi sono sentito preparato per quello che avevo scelto di fare. Volontari non ci si improvvisa e non basta neppure avere tanta disponibilità di tempo.
Bisogna essere formati ed è fondamentale seguire le linee guida del nostro codice deontologico.
Ho finito il corso a fine maggio e ai primi di agosto la mia Tutor Laura mi ha proposto di accompagnare un signore che, colpito da una malattia degenerativa, necessitava di camminare un paio d’ore due volte la settimana.
Vado a conoscere la famiglia il giorno stesso e il signore, un uomo di poche parole, ci prendiamo un caffè, ci mettiamo d’accordo per l’orario che sarebbe stato dalle nove alle undici il martedì e il giovedì.
Questi momenti fuori casa consentivano alla moglie del signore di uscire e fare le proprie commissioni, come delle ore d’aria.
Il signore, classe 1937, dal viso interessante e dai bei capelli bianchi, il suo corpo è robusto e appesantito dalla sedentarietà, infatti all’epoca erano almeno cinque anni che la malattia si era presa una parte della sua memoria e dei suoi muscoli, nonostante ciò la sua figura era quella di un uomo di bella presenza.
Fin dalle prime uscite cerco un filo conduttore che ci permetta di chiacchierare e trovo un mondo: la bicicletta, amata in gioventù ma mai proprio vissuta ed io, che sono tanti anni che faccio gare amatoriali in bici; il giardinaggio che per tanti anni è stata una passione, era quasi un lavoro ed io che sono figlio di una pollice verde incallita!
Ma non solo, scopro insieme a lui l’arte, la pittura, i quadri… addirittura scopro che lui ne ha dipinti parecchi.
Le nostre passeggiate iniziano sempre andando a prendere il caffè in una torrefazione che lui conosce, il proprietario è baffuto e bizzarro e da ex agonista in bici qual è, ci racconta spesso le sue cadute epiche con bici d’altri tempi… il tutto condito con l’odore del caffè tostato.
La torrefazione è un luogo pazzesco, dal locale bar si attraversa il il negozio di caramelle ed era per me come tornare indietro nel tempo: le caramelle della mia infanzia! Moretto, Sukai, Brut e Bun, Stupunin, Mentine e le famose Cri cri.
Insieme al caffè leggevamo La Stampa, precisamente io leggevo a alta voce gli articoli più importanti, la prima pagina e poi lo sport, tutti gli articoli della Juve, di cui era tifosissimo, come me.
Poi facevamo il nostro giro che durava più o meno un’ora e mezza, parlando del più o del meno, inizialmente lui non parlava molto, ma era molto curioso di quello che facevo io, così gli raccontavo la mia vita, gli parlavo dei miei ragazzi, della mia compagna, di quello che facevo. Abitavo nel centro storico e quindi lo invitai a vedere il mio appartamento che apprezzò molto, volle vedere la mia bicicletta per soppesarla e si stupì della sua leggerezza.
Iniziamo così un percorso durato quasi quattro anni, i martedì e i giovedì erano per lui appuntamenti da non perdere, ci teneva tanto, era capace di svegliarsi prima dell’alba per cominciare a vestirsi anche se ci vedevamo alle 9.
Ho sempre cercato di farlo uscire sempre, con qualsiasi condizione di tempo, se pioveva stavamo sotto i portici, ma non mi dispiaceva farlo camminare sotto l’ombrello, in inverno indossava la coppola, che chiamava “Coppolilla”, aveva sempre l’abbigliamento giusto, perché: “Non c’è cattivo tempo ma cattivo abbigliamento”.
Abbiamo visto di tutto, la sua curiosità era infinita, cercava sempre nelle nostre passeggiate le cose più curiose, poteva essere una mostra d’arte o una ferramenta, c’era sempre qualcosa da osservare.Nelle tante mostre viste aveva un interesse per la tecnica di pittura, segno evidente che se ne intendeva.
Mi ha raccontato molto della sua vita da bambino, ricordo bene il racconto quel giorno a Petralia Soprana, mentre correva giocando con i suoi amici, svoltata la curva si trovarono di fronte la lunga fila di soldati Americani a cavallo appena sbarcati dal porto, in cammino verso il fronte.
Ricordava perfettamente l’odore delle divise, dei cavalli e il gusto della cioccolata offerta a tutti i bambini. Poi è partito militare, destinazione Pinerolo, in cucina , il suo ruolo era approvvigionare le dispense, così conosce in poco tempo molto negozianti del centro storico che ancor prima del congedo gli chiedono di rimanere, si è fatto sin da subito volere bene, infatti lo assume subito un elettricista che lavora per la SIP così installa le prime linee telefoniche che di lì a poco collegheranno tutti gli italiani.
Il lavoro è pericoloso, deve salire scale lunghissime per raggiungere finestre lontane, come quella volta che è andato in quella casa particolare, piena di donnine, dove la signora che la gestiva vedendolo a penzoloni alla finestra lo ha abbracciato per sorreggerlo tenendolo stretto, forse troppo stretto, che per un attimo ha pensato che la signora non volesse solo il telefono…
Viene assunto dalla SIP e ci lavora fino alla pensione, abbiamo incontrato spesso suoi ex colleghi e tutti lo hanno sempre salutato con molto affetto e stima, molti si ricordavano che aveva le mani d’oro, riparava tutto e sapeva fare di tutto.
I nostri appuntamenti che non erano solo passeggiate erano per entrambi delle sedute terapeutiche. Per rompere il silenzio raccontavo, come ho già scritto, tutto quello che facevo e non se lo dimenticava, infatti spesso mi chiedeva come era finita quella questione o se ero riuscito a risolvere quel determinato problema.
Abbiamo anche superato la pandemia, siamo stati un mese senza poterci vedere, poi abbiamo ripreso le nostre preziose passeggiate, l’ho fatto camminare per una settimana tutti i giorni un’ ora al giorno per rimettere in forma le gambe, inizialmente piano piano e poi più veloci, in poco tempo abbiamo recuperato il nostro passo e il fiato e siamo tornati a vederci due volte la settimana.
Dall’inizio di quest’anno però i nostri giri sono diventati più corti e più faticosi, le gambe e un ginocchio non volevano saperne di non fare male, stavamo di più sulle panchine a guardare la natura con la stessa curiosità di sempre. Un giorno in ascensore mi ha guardato e mi ha confidato che voleva traslocare, io per ridere gli ho detto che gli avrei dato degli scatoloni: questa cosa mi incuriosì.
La malattia stava prendendo il sopravvento, andavo agli appuntamenti e vedevo subito che non si era messo le scarpe, capivo che non ce la faceva ad uscire, così guardavamo il giro d’Italia, ma non vedevo più lo stesso entusiasmo e partecipazione e così durante un ricovero per le varie complicazioni è venuto a mancare.
Una volta appresa la notizia sono andato all’ospedale dove c’era la famiglia, stare con loro in quel momento è stato come sentirmi parte della loro famiglia, perché è così che mi hanno fatto sentire nei miei quattro anni con loro. E di A conserverò un ricordo prezioso, era una persona di altri tempi, ricco dentro, con lui ho imparato che non dovevo tirarlo ma dovevo seguirlo come deve fare il volontario.
L’ultima volta che siamo usciti mi ha confidato che era riuscito a traslocare, ma che se avesse dovuto aspettare i miei scatoloni sarebbe diventato vecchio…E chissà se un giorno ci rivedremo, mi alzerò di sicuro la Coppolilla e subito lo abbraccerò come non è mai successo.
Non servono altre parole per raccontare ciò che ho vissuto: mi auguro di cuore che la mia esperienza possa essere uno stimolo o un incoraggiamento per chi vuole avvicinarsi a questo mondo.
N. M.